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La guerra di Tina

Ho sognato il mondo sopra un treno

 

 

testo di Renato Barrella

regia di Maura Pettorruso

con Maria Vittoria Barrella

luci di Emanuele Cavazzana

ricerca storica di Andrea Casna

 

una produzione Associazione Culturale Lavisana

 

 

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Ambientato durante il primo conflitto mondiale, La guerra di Tina è il monologo di una ragazza che racconta gli eventi che hanno portato all’arresto suo e della madre, episodi della sua prigionia nel campo di Katzenau, successivamente il ritorno alla vita in paese nel primo dopoguerra e gli albori del fascismo. I temi trattati sono la condizione femminile, ieri e oggi, il rapporto fra potere e popolazione, guerra e oppressione. Il materiale storico di riferimento sono le testimonianze di donne trentine arrestate ed internate nei campi di prigionia austriaci o italiani. Storia d’amore in sottofondo.

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Composto sulla base delle testimonianze, per lo più in forma epistolare, di donne trentine deportate dal governo austriaco e da quello italiano durante il primo conflitto mondiale, nonché sulla ricerca storica su questo argomento, La Guerra di Tina intesse al fatto storico la storia di un personaggio inventato.

 

Tina, la protagonista, è un personaggio il cui scopo è incarnare valori e domande, un’individualità costruita su di una sensibilità contemporanea che si approccia al passato, si finge passato, ovvero, l’avatar di un'ipotetica osservatrice moderna, che indossando una maschera recita la sua parte nella tragedia della guerra e l’ingiustizia della prigionia.

 

Adoperando un linguaggio dal registro composito (contemporaneo, dialettale, colto, vetusto), per poter così scandire momenti comico/ironici e momenti più drammatici o di riflessione, il monologo racconta una storia che attraversa l’intero periodo del conflitto e il primo dopoguerra sino agli albori della dittatura fascista. Ciò, appoggiandosi ad una costruzione per immagini che sono di volta in volta assai concrete e realistiche oppure oniriche, talvolta velatamente simboliche ed evocative, rimanendo comunque in una cornice discorsiva fluida, immediata, accessibile a qualunque tipo di pubblico.

 

La scenografia, minimale e low-tech, (che, incidentalmente, permette al prodotto di essere replicato con molta facilità in diverse situazioni) ha lo scopo di sottolineare e scandire i diversi momenti dello spettacolo: una semplice struttura lignea diventa di volta in volta vagone di treno, baracca, casa, letto a castello, così come i semplici teli bianchi che accompagnano l’attrice durante tutto il viaggio sono abito da sposa, pesanti panni da lavare, un vestito a festa, una coperta e, strappati direttamente in scena, bendaggi per una ferita.

 

Quanto alle tematiche, il nostro spettacolo tocca questioni di storia locale, poco noti, riguardanti il primo conflitto mondiale ed allo stesso tempo prende lo spunto per partecipare alla discussione, cogente, su argomenti d’attualità.

 

S’affronta la questione del genere, senza pietismi, crediamo, e senza una vena particolarmente conflittuale, così come non si esita a parlare del rapporto fra cittadini/e e autorità. Infine la pace, concretamente intesa come assenza di guerra, nonché la necessità e l’opportunità (e le relative conseguenze) di opporsi a qualsiasi conflitto sono coordinate che nella stesura e rappresentazione dello spettacolo abbiamo sempre tenuto in conto.

 

Per riassumere, “La Guerra di Tina” è il risultato dello sforzo di creare un prodotto culturale e d’intrattenimento, agevolmente riproducibile da un punto di vista “logistico” in qualsiasi contesto, accessibile e leggero nel suo svolgimento sebbene valorizzato da solide basi di ricerca storica, confezionato con un’estetica coinvolgente, semplice e dinamica.

 

 

Il contesto storico

 

Nell’estate del 1914 iniziava la Prima guerra mondiale. Circa 70.000 soldati trentini (su una popolazione di circa 385.000 persone) dovettero partire per il fronte, generalmente quello orientale. Più di 10.000 persero la vita nel conflitto.

 

Nella primavera del 1915, alla vigilia dell’entrata in guerra del Regno d’Italia contro l’Austria-Ungheria, le autorità militari asburgiche vararono un piano per evacuare i civili che vivevano nelle aree vicine ai confini con l’Italia.

 

Circa 75.000 persone tra vecchi, donne e bambini vennero quindi ammassate in campi profughi (Mitterndorf, Pottendorf, Braunau, Wagna, le «città di legno»), o disperse in paesi della Boemia e della Moravia.

 

Nonostante il piano predisposto, i tempi e le dimensioni dell’evacuazione, lo smembramento delle famiglie, l’ansia per i familiari al fronte, lo stato di guerra e l’andamento della stessa resero questa un’esperienza terribile per la quasi totalità delle persone coinvolte, come oggi possiamo leggere nei loro diari e nelle loro lettere.

 

Anche i sospetti irredentisti vennero allontanati dal fronte e internati per motivi politici nel campo di Katzenau, dove si trovavano 1.754 persone. In questo campo vennero condotti sia coloro che negli anni precedenti allo scoppio del conflitto avevano svolto palesemente attività irredentiste, sia coloro che erano solo sospettati di sentimenti anti-austriaci. Molte furono anche le vittime di equivoci e di denunce per motivi personali.

 

Cornelia Finazzer ad esempio fu internata per aver decorato un busto di Dante con il tricolore italiano, Virginia Fedele per aver auspicato la vittoria dell’Italia e Maria Fontanari perché in occasione dello scoppio di alcune mine aveva detto «queste possono spararle in culo all’imperatore». Gian Battista Piazzi venne internato per «vagabondaggio sospetto, ovvero per sospetto spionaggio» e Carlotta Santoni di Arco per aver detto che «alla guerra nella quale l’Austria continua a perdere dobbiamo porre fine noi donne con la rivoluzione».

 

Anche l’esercito italiano, avanzando, dovette occuparsi dell’allontanamento di civili dal fronte. Anche in questo caso si ebbero sia semplici profughi (circa 35.000), sia internati per motivi politici. Il governo italiano non aveva un programma preciso in merito, quindi spesso la gestione dei gruppi di profughi venne lasciata ai singoli comuni, con situazioni molto differenziate. I maggiori disagi erano causati da sovraffollamento, promiscuità, mancanza di letti e indumenti. Alta era la mortalità per malaria, meningite, difterite e tubercolosi. Per guadagnarsi da vivere le donne andavano a lavorare, spesso in situazioni di sfruttamento, mentre la prostituzione era un’opzione diffusa soprattutto nelle vicinanze delle retrovie, dove era forte la presenza di soldati in licenza.

 

Tutti questi profughi erano del resto i parenti degli uomini che stavano combattendo contro i soldati italiani.

 

Molte quindi furono le accuse di spionaggio, di austriacantismo e di avversità verso la causa italiana e irredentista. La semplice corrispondenza fra la moglie e il marito al fronte era motivo più che valido per accusare la donna di servire l’Austria.

 

Ala, occupata dagli italiani già nel maggio del 1915, fu fra i comuni più interessati dagli sfollamenti nel Regno d’Italia. Questo caso è stato studiato da Massimiliano Baroni, che sulla rivista i Quattro Vicariati (giugno 2009) riporta un passo estratto da «La Grande Guerra dei Civili» di Daniele Ceschin sugli internati nella colonia di Oleggio: «asserragliati in un vecchio, lurido cascinale a 4 chilometri dal paese, i profughi vivono come coatti. Dormono anch’essi in sacconi di paglia stesi a terra, con una sola coperta. La signora Biasi Albini vide un vecchio rantolare quasi soffocato perché privo di guanciale. Una puerpera giaceva in un pagliericcio sporco nell’angolo di uno stanzone dove un gruppo di bambini schiamazzava. Fra i 300 profughi non esiste una bacina per lavarsi. Mangiano zuppa di brodo due volte alla settimana , ma la carne è di infima qualità».

 

La sconfitta dell’Impero austro-ungarico portò all’annessione all’Italia di Trento e Bolzano. Ebbe quindi subito inizio il processo di italianizzazione delle terre occupate attraverso la glorificazione di quei soldati trentini, circa 700, che avevano combattuto con la divisa italiana, mentre nel 1919 le autorità italiane iniziarono ad allontanare dai pubblici uffici tutte le persone che nel corso della guerra avevano manifestato sentimenti filo austriaci.

 

Venne dato alle stampe, inoltre, il «Memoriale sull’epurazione», edito dalla Legione Trentina, (una copia è conservata presso l’Archivio Storico del Comune di Lavis) dove si legge: «per gli austriacanti freddezza da parte del pubblico, esclusione dalle Associazioni, eliminazione dai pubblici uffici o trasferimento in altra regione: per i rinnegati, per i disonesti, per i fiduciari dell’Austria, per le spie, per i vermi della società, il disprezzo della pubblica opinione, il boicottaggio da parte dei cittadini, l’esclusione da qualsiasi impiego pubblico o privato».

 

Nel testo ci si interroga anche sul ruolo degli insegnanti, già funzionari dell’Impero e ora del Regno d’Italia, perché, si diceva, i giovani non dovevano assistere «attoniti e perplessi alla esaltazione dell’Italia fatta dallo stesso insegnante che fino a ieri aveva esaltato l’Austria denigrando tutto quanto era italiano: troppo grave sarebbe l’effetto dissolvente della coscienza dei giovinetti prodotto da un tale stridente contrasto».

 

 

Bibliografia

 

Andrea Bonoldi, Maurizio Cau, Il territorio trentino nella storia europea, IV, L’età contemporanea, KBK, 2011.

 

Archivio Comunale di Lavis, Atti Amministrativi, busta n° 117, Memoriale sull’epurazione, Trento, novembre 1919.

 

Claudio Ambrosi, Vite internate. Katzenau, 1915-1917, Fondazione Museo Storico del Trentino, 2008.

 

Luciano Mattei, 1915-1919. Famiglie e comunità nella bufera, in, I Quattro Vicariati, dicembre 2009, Ala, pp. 57-76.

 

Luigi Sardi, La Grande Guerra e il Trentino. Fra neutralismo ed interventismo, Temi, 2011.

 

Lucia Palla, Corrispondenza da Katzenau, 1916-1917, Deportate, esuli, profughe, 2007, Università di Venezia

 

Massimiliano Baroni, L’altra faccia della medaglia. Internati alensi nel Regno d’Italia, in, I Quattro Vicariati, giugno 2009, Ala, pp. 11-26.

 

Matteo Ermacora, Il Memoriale di Nina Loss. Agosto 1916, in Deportate, esuli, profughe, 2007, Università di Venezia.

 

Matteo Ermacora, Le donne internate in Italia durante la Grande Guerra. Esperienze, scritture e memorie, in Deportate, esuli, profughe, 2007, Università di Venezia.

 

Alberto Folgheraiter, Un popolo, due patrie. Il Trentino nel vortice della Grande Guerra (1914-1918), Curcu e Genovese, Trento, 2015.

Ancora Tina
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